martedì 25 febbraio 2014

Domani



Sul Carlino. Allacciate le cinture.

La cosa essenziale



I tre racconti dei ragazzi della Palmezzano che hanno incontrato Kalle, il Micio e Casadei. 

L’incontro è cominciato con un discorso sul grande valore che un abbraccio ha nel mondo dello sport. Prima dell’intervista, infatti, ci siamo soffermati su un gesto molto importante, un’azione comune: quello di tenersi per mano. Com’ è successo a due atlete che hanno vinto una gara in queste olimpiadi invernali a pari merito e per esultare si sono tenute per mano e hanno gioito insieme.
Alberto Calderoni è stato per quattordici anni il capitano della squadra del Forlì calcio con la maglia numero 6. Ha eseguito 24 goal nei campionati e 8 in coppa Italia. Sarebbe potuto andare a giocare in squadre più famose e forti, ma ha preferito rimanere nella squadra e nella città da dove era partito, indossando la maglia biancorossa.
La cosa essenziale nella vita non è trionfare, ma lottare.
Alberto ci ha detto che lo sport dovrebbe aiutarci a crescere; il suo obiettivo è unire le persone. Bisogna avere il coraggio di provare e rischiare perché nello sport ci sono cose che non si possono raccontare ma bisogna viverle. Successivamente ha risposto alle nostre domande:

* D: Cosa hai provato quando sei diventato capitano? R: Ero sicuramente molto contento, ma anche il portare la fascia si capitano e l’esserlo non ti rendono diverso dagli altri tuoi compagni, è un incarico che offre responsabilità e ti fa diventare un punto di riferimento per la squadra. Non mi ritenevo superiore ai miei compagni. Il capitano deve essere il tramite tra allenatori e compagni, deve essere la persona che risolve le difficoltà. In cambio si è riconosciuti in maniera autorevole.

* D: Hai mia scommesso su una partita? R: No, perché il calcio scommesse all’età in cui giocavo io non esisteva e perché per principio chi gioca non può scommettere. Oggi succede e mi sembra sbagliato, questo è uno dei motivi per cui la società si è disgregata.

* D: In caso di infortunio i tuoi compagni ti hanno assistito? R: Non ho mai avuto problemi, ma alcuni compagni hanno attraversato momenti difficili e io li ho aiutati. Anche in una classe scolastica dovrebbe essere così.

* D: Nella carriere sportiva sei sempre stato leale? R: Certe volte mi sono arrabbiato molto, ma di solito sono stato leale. A volte si può avere la malizia di superare l’avversario, ma ci sono sempre dei limiti da rispettare. Dentro di te devi sentire il limite sia negativo che positivo, la famosa linea rossa di confine.

* D: Hai sempre rispettato il fair play? R: Sì, ma in alcune partite mi sono anche innervosito per un risultato negativo.

* D: Cosa è successo negli spogliatoi quando hai sbagliato un tiro? R: Dipende dalle persone, la loro maturità e il loro carattere; l'errore non è fatto volontariamente, si fa di tutto per non farlo ma alla fine scappa, però bisogna essere consapevoli che di averci provato perché il successo è raggiunto sbagliando. La competitività è il meglio che puoi dare per migliorare. Dopo un errore non bisogna ritornare in dietro ma andare avanti e riprovarci.

IL SUCCESSO E’ UN INSIEME DI ERRORI DELLA VITA
* D: Hai mai subito ripercussioni nello spogliatoio se commettevi errori in partita? R: In età giovane mi sentivo preso in giro, mentre da adulto no, anche perché un errore non è commesso volontariamente. Si può essere rivali senza essere nemici.

* D: Quando hai capito di essere bravo? Chi te lo ha fatto capire? R: Non sono sicuramente il più bravo, perché ci sono tanti altri migliori di me, ma ce l’ho sempre messa tutta, ce l’ho fatta con l’impegno. Bisogna sempre impegnarsi senza perdere la speranza.

NON BISOGNA MAI TIRARSI INDIETRO
Una cosa importante che ci ha fatto capire è quella sulla differenza tra i compagni di scuola e il gruppo sportivo; noi pensiamo che la scuola sia individuale, ma in realtà in entrambi i campi conta l’aiuto verso gli altri compagni in un lavoro, ma anche l’unione del gruppo stesso, coma si dice in un proverbio: “L’unione fa la forza”. Una classe è come una squadra, unita per raggiungere un obiettivo, se qualcuno è più bravo di un altro non deve demoralizzarlo ma aiutarlo.

Alberto si è soffermato ad elencare e commentare i diritti dello sportivo, che non dobbiamo dimenticare, specialmente quando diventeremo adulti.
* Non essere campione
* Aver esempi giusti tempi di riposo
* Rispettare i propri limiti
* Non assumere sostanze nocive
* Fare sport in sicurezza

Il tutto condito con le regole del Fair Play, che non solo indica il gioco leale, ma tutte le norme che rendono uno sport positivo (anche per chi perde!) :
* Non usare inganni per ottenere il successo
* Rendere ogni tipo di incontro un momento di festa
* Essere leale con gli altri e diffondere regole giuste
* Soccorrere uno sportivo infortunato
* Dare il meglio di sé nella vittoria e nella sconfitta da cui si può imparare tanto

In più Alberto ha aggiunto che “prima bisogna conoscere se stessi per poi aprirsi con gli altri”. La cosa essenziale è il rispetto verso le altre persone, perciò bisogna rispettare i propri limiti, per non invadere gli altri e anche per essere rispettati; dobbiamo sempre cercare di migliorare noi stessi senza delegare la colpa di un risultato negativo ai compagni.
1° F

Nel nostro mondo tutti i ragazzi e le ragazze praticano almeno un po’di sport, a scuola o fuori
L’attività sportiva riguarda molti aspetti della persona, particolarmente importanti per i ragazzi e le ragazze che crescono.
Si tratta infatti di acquisire e di utilizzare capacità fisiche, ma anche attitudini che riguardano il carattere e il modo di stare con gli altri.
Anche l’ex- capitano della squadra forlivese ha raccontato che lo sport è un modo per socializzare e migliorare le proprie caratteristiche fisiche.
I giochi di squadra come ad esempio il calcio, ma anche la pallavolo, la pallacanestro e altri ancora, sono più formativi, soprattutto per i bambini e le bambine che stanno crescendo perché uniscono l’impegno e la responsabilità personale al senso di appartenenza al gruppo e alla solidarietà.
Nel gioco di squadra come il calcio i ragazzi verificano che a tutti può capitare di sbagliare e chi è insicuro può acquisire quella sicurezza in se stesso di cui ha bisogno.
Il gioco di squadra serve anche a bambini e bambine che tendono ad essere un po’troppo sicuri di sé, che sono egoisti e poco abituati a condividere le sconfitte: giocare in gruppo significa RISPETTARE gli altri, non solo i più bravi, ma anche quelli meno abili; serve ad imparare che non sempre si vince, alle volte si perde.
Molti ragazzini fanno fatica ad “ incassare” una sconfitta.
Anche l’ex-capitano del Forlì, Alberto Calderoni, ci ha riferito di essersi arrabbiato dopo una partita persa ma è comprensibile la delusione per la sconfitta e un pizzico di gelosia verso i “vincitori”; l’importante è limitare il nervosismo. Inoltre gli insuccessi nello sport non devono essere vissuti come un dramma, anzi, possono servire a crescere e a vivere meglio.
E’ importante anche sapere che non tutti sono nati per diventare “ CAMPIONI”.
Dall’incontro di sabato 15 febbraio con Alberto noi ragazzi della 1L abbiamo capito che non bisogna farsi condizionare dai risultati negativi e nemmeno da quelli positivi; egli ci ha spiegato che durante la sua carriera ha imparato che si deve accettare la sconfitta nello stesso modo in cui si gioisce per un successo.
La cosa più importante è sentirsi in pace con la coscienza per il proprio impegno e la propria LEALTA’.
1° L

Se sfogliamo un qualsiasi vocabolario, alla voce “fair play” la spiegazione sarà: comportamento rispettoso nei confronti degli avversari. Una risposta troppo sintetica per interpretare le tante sfaccettature di questa espressione. Intanto, in qualsiasi sport, si deve giocare per vincere, questa è l’unica sola finalità, la vittoria, per ottenere la quale (e qui subentra una delle tante sfaccettature del fair play) si devono rispettare le regole del gioco, con lealtà, aiutare i compagni di squadra, glia avversari, nonché, gli arbitri; e, in caso di sconfitta, accettarla con dignità. Inoltre, è molto importante rifiutare la corruzione, il doping, il razzismo, la violenza e qualsiasi cosa possa arrecare danno allo sport.
Un brillante esempio di fair play lo possiamo identificare in Albero Calderoni, giocatore del Forlì Calcio e capitano per quattordici anni. Proprio per il ruolo così importante che ha ricoperto negli anni, egli, più che mai, ha dovuto osservare e rispettare le regole del fair play per dirigere squadre vincenti. Quando il 15 febbraio 2014 è venuto a scuola con lo scopo di farci capire l’importanza del fair play ha iniziato il suo intervento spiegando che questo atteggiamento non deve essere presente solo sui campi da calcio, ma soprattutto nella vita di tutti i giorni.
Gli è stato poi chiesto: “Sei sempre stato leale?” e lui, con grande umiltà ha risposto che qualche volta ha perso la pazienza con gli avversari, che non sempre era d’accordo con l’arbitraggio e che spesso ha protestato; ma che nessuna volta ha fatto male volontariamente al suo antagonista. Ha sempre indossato la sua maglia con onestà e orgoglio, e mai e poi mai è sceso in campo con uno scopo diverso, da quello di vincere una competizione.
L’intervista è proseguita con un botta e risposta intervallato dalla visione di brevi cortometraggi inerenti all’argomento trattato che uno dei nostri insegnanti (Prof. Marco Susanna) aveva preparato con molta cura; ad esempio abbiamo visto un filmato che mostrava come i figli tendano a emulare le azioni dei propri genitori, positive o negative che siano e questo richiama gli adulti a grandi responsabilità.
Un altro cortometraggio mostrava un atleta che, durante una gara di qualificazione olimpica, raccoglieva da terra una rivale infortunata e la portava a tagliare il traguardo insieme a lei.
Noi, da sportivi, non possiamo ignorare l’intervista di Albero Calderoni e la sua preziosa testimonianza; non sappiamo se riusciremo ad essere come lui, però la prossima volta giocheremo potremo provare ad assomigliargli almeno un po’, ricordando quello che ci ha insegnato. Grazie al Forlì calcio ed ai suoi Dirigenti per questa bella esperienza di sport ma soprattutto di vita.

3° F